
E' il momento di Stefania Trapani, a Sky Tg24 da molti anni. Giornalista a 360 gradi come potete leggere in questa intervista.
Prima di tutto raccontaci qualcosa di teLa penna in mano a cinque anni. Un concorso per “nani” vinto a sei, con la storia di Michela, la mia bambola dai capelli ricci e rossi. Un po’ Cenerentola, un po’ Alice.
Devo a lei la mia passione, che da allora non mi ha mai abbandonato.
Sono cresciuta tra l’asfalto e la polvere.
A caccia di notizie. Curiosa di tutto e di tutti.
Il praticantato nella redazione del giornale di Caserta, quotidiano anti-camorra odiato da Sandokan, quell’Antonio Schiavone, boss dei casalesi, diventato crudelmente famoso per le lotte di potere a Casal di Principe. Le pattuglie delle forze dell’ordine davanti al portone della redazione. I fax intimidatori. Le lettere e le minacce di sua moglie Giuseppina Nappa, arrestata dopo qualche anno. La cronaca nera. Le inchieste: voti di scambio, aste d’appalti truccate. mala. droga.
E un editore, Maurizio Clemente, che ha creduto in me. Dandomi fiducia.
Sono nata così. Cronista di strada. Ficcanaso per dovere. Sfacciata per necessità.
A volte anche quando il buon senso, inevitabilmente, esorta a spingere sul freno.
Poi, l’arrivo a Roma. Il colloquio con Antonio Marano, allora direttore di Team tv, canale di informazione di Stream. Poi Sky, la grande opportunità. E’ grazie al direttore Emilio Carelli se ora sono membro di questa grande famiglia. Se posso dire con orgoglio e tanta riconoscenza di essere parte di Skytg24. La conduzione, l’adrenalina della diretta. Poi la chance e la sfida più grande: fare l’inviata. Le inchieste sulle morti bianche, il porto di Genova, i no global del Nord Est, gli ultras del calcio italiano, la mala-sanità calabrese, la strage di Erba (finalista al premio Ilaria Alpi 2007). E poi i reportage: sulla diossina in Campania (candidato agli Sky Tv Awards 2008); sull’uranio impoverito impiegato in Kosovo e la morte di militari italiani che hanno svolto missioni nelle zone bombardate. Le primarie, le proteste pacifiste a Vicenza contro la base americana.
Quali dei tanti servizi da te curati rimane ancora fisso nella tua memoria per emozioni suscitate?Ciò che più amo è raccontare le storie della nostra Italia. In particolare quella sottaciuta, quella che soffre. Quella che stenta per arrivare a fine mese, quella che non ha la forza di reagire. O peggio, quella che tace per paura, ignoranza. Quella che magari tutti conoscono, anche per sentito dire. Ma che nessuno ha mai visto. La televisione in questo senso ha un potere e un merito eccezionale. Le immagini parlano. Così tanto e in maniera così toccante che talvolta le parole neanche servono.
L’emozione più forte? L’inchiesta girata in Campania sul traffico illecito di rifiuti tossici e non. Ho visto discariche abusive a due passi dalle case fumare di notte. Ho respirato veleni che mi hanno bruciato la gola. Toccato con mano quello che gli oncologi napoletani chiamano nesso di causalità tra inquinamento ambientale e l'insorgenza dei tumori e la mortalità per tumori. La Terra Felix deturpata: piramidi di finte eco-balle, montagne di copertoni, tonnellate di vernice gettate tra i cespugli accanto alle piantagioni di pesche, frutta purtroppo contaminata che finisce sulle tavole di tutta l’Italia. Intere famiglie che utilizzano acqua avvelenata, per irrigare i campi, per uso domestico. Bambini ammalati di tumori strani. Donne, puerpere che non possono allattare i propri figli. Ho conosciuto Enzo Cannavacciuolo. Mi ha raccontato la storia di suo padre, pastore di Acerra. Nel suo sangue c’era diossina. Le analisi di un laboratorio canadese hanno provato che la concentrazione era altissima. Suo padre è morto. In pochi mesi. Divorato dal cancro, insieme al suo gregge. Dalle poche pecore ancora rimaste in vita nascono agnellini deformati.
Hai seguito da vicino la vicenda Alitalia. Tanti lavoratori sull’orlo del licenziamento. Quali sono i tuoi ricordi?Una vertenza lunghissima. Dolorosa. Una vicenda sociale che ha appassionato l'opinione pubblica italiana. E che nel bene o nel male ha segnato un’epoca. La vertenza Alitalia ha avuto effetti molteplici. I più profondi forse sulle parti sociali. Ha spaccato il sindacato: schierando da un lato i confederali, dall’altro il fronte del no dei piloti, spesso e ancora troppo spesso a torto definiti privilegiati. Francamente, se un tempo potevano godere -anche se non tutti- di certi benefit, ora anche per loro i tempi sono cambiati. Un braccio di ferro che ha fatto scendere i lavoratori in piazza, a Montecitorio, sul piede di guerra. Azioni di lotta. Legali. Una società “benefattrice”, la Cai, una cordata di imprenditori nostrani che ha offerto un miliardo "cash", senza accollarsi i debiti. E che ora, a sei mesi dalla nascita della nuova Alitalia, continua a perdere soldi e stenta a raggiungere quel turn around auspicato e necessario per il pareggio di bilancio. Il cosiddetto break even che consentirebbe alla compagnia di bandiera di tirare un sospiro di sollievo. La nuova Alitalia è nata da una vecchia Alitalia quasi defunta, sull’orlo del collasso. Salvata praticamente a un soffio dal baratro. Ora integrata con Airone. Ma il prezzo pagato è stato altissimo. Migliaia di lavoratori in cassa integrazione. Migliaia di precari a casa senza neanche quella. Il momento storico che viviamo certo non ha favorito l'acquisizione della good company e la liquidazione dei bad asset. La crisi ha appesantito un contesto di per sè già difficile.
Hai vissuto negli States per parecchio. Mi citi le differenza maggiori che ci sono secondo te tra noi e loro?La Florida, la Carolina: poco yankee, tanto sudiste. Rossella O’Hara con il body-board sotto il braccio. Senza i campi di cotone. Tra le dune di sabbia e i tunnel che spariscono sott'acqua attraversando l'oceano. Ho vissuto negli Stati Uniti gli anni più belli della mia adolescenza. Mi sono diplomata in una scuola secondaria a stelle e strisce con una buffa tunica con tanto di fascia e cappello quadrato. Recitando tutte le mattine il Pledge of Allegiance davanti alla bandiera degli Usa con la mano destra sul petto. Giocavo a calcio, "sbucciandomi" le ginocchia a furia di cadere nei sentieri diabolici del cross country. Vivere, studiare e anche lavorare negli Stati Uniti significa trasparenza, immediatezza. Vitalità allo stato puro. Con i dovuti rischi: primo fra tutti, forse, quello di rasentare un senso di vuoto, causa o effetto (dipende dal punto di osservazione) di superficialità. Si bada all'osso, si evitano i fronzoli. Se funziona, si va avanti. Se la ruota non gira, si sostituisce l'ingranaggio.
Oggi si dice che per sfondare in molti settori tipo la tv, il cinema , la musica sia necessaria la bellezza. Questo è stato detto anche del giornalismo. Cosa ne pensi?Per Platone il bello è il vero. Anche per Aristotele la verità è bellezza. Ragionando così, chi come me racconta la realtà nuda e cruda, con distacco ma con lo zoom, dovrebbe inseguire la perfezione. Purtroppo non è così. Noi viviamo in un'estetica empirista che pone i canoni di bellezza in cima alla piramide dell'armonia.
Non c'è nulla di male nell'essere piacenti e piacevoli. Ma ciò diventa una forzatura, a mio avviso, quando si trasforma in prerogativa indispensabile. Chi sceglie di fare giornalismo televisivo deve avere innanzitutto rispetto per la realtà che osserva e per chi è spettatore dall'altra parte dello schermo. Credo che il decoro e una certa grazia contribuiscano all'insieme di un essere umano, ma la sostanza che fa la differenza non è certo l’esteriorità.
Passiamo a cose “leggere”: come “uccidi” il tempo libero?Ti prendo alla lettera: mi “uccido” di corsa. La serotonina, la mia droga quotidiana. Mi dà la carica e al tempo stesso mi rilassa. Corro da anni. Ho iniziato per gioco. E non ho mai smesso. Corro a livello amatoriale. Mai agonistico. Anche se amo misurare la mia ambizione nelle maratone. La più emozionante? Quella di NY City. Novembre 2003, il primo anno di Skytg24. 50mila partecipanti. 2 milioni di curiosi e supporter che lungo il percorso ti danno acqua, banane, gel energizzanti. Qualcuno prova anche ad allungarti una birra. I gospel di Brooklyn, il Queen’s Bridge che toglie il fiato, la first Avenue chiusa al traffico. Harlem, Central Park. L’arrivo, la coperta di alluminio per non disperdere il calore corporeo. Ti accasci sul prato. Non senti più le gambe, mentre realizzi solo alla fine che insieme a mezzo mondo hai appena attraversato NY City, da Staten Island a Manhattan, passando per il Bronx. Percorrendo, con le tue sole gambe e in poche ore, più strada di quanto una persona in media ne compie in auto in un giorno intero…..
Un libro, un cd, un film che sono nel tuo cuore.Libro: Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, anche se l'unica impareggiabile è per me una sola: Virginia Woolf.
Cd: musicalmente sono molto disordinata, amo ascoltare di tutto, di più. Un orecchio tutt'altro che fino, direbbe chi è cultore della buona musica. Mi piacciono Vasco Rossi, Ligabue, De Gregori. E poi i mitici Cure.
Film: tanti tantissimi, come faccio a dirne uno solo. Chiudo gli occhi e cito i primi a cui penso: A Colazione da Tiffany, Quarto Potere di Orson Welles, La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock. E poi i film del principe, Totò. E poi Il Padrino…Taxi Driver.
Infine la domanda più importante: I consigli di Stefania Trapani a chi inizia questa carriera.Non sono proprio in grado di darne. Solo incoraggiamento, forse. A chi ancora non sa che cosa lo aspetti (naturalmente scherzo). …è come un viaggio in mare aperto…a volte si è costretti a cavalcare le onde di un oceano in burrasca, altre volte a sfruttare sapientemente le correnti, soprattutto quando il vento è flebile. A volte si naviga dolcemente cullati dalla corrente. A volte si veleggia in compagnia dei delfini. Chi a bordo yacth, chi su zattere. Ma alla fine dei conti non importa come. Perché il mare è lo stesso per tutti. Con i suoi misteri, la sua forza, i suoi pericoli, il suo entusiasmo. Si sogna l’approdo: scogli o isole. Ma la meta è un’altra: la terraferma. Si naviga con la lucidità e la consapevolezza che esiste, ma non si ha la certezza di arrivarci. Mai. Un po’ come Ulisse alla ricerca di Itaca. Con la purezza e la spontaneità del Piccolo Principe, pioniere dei cieli. Bisogna crederci, bisogna dare l’anima. Ci vuole dedizione, tantissima. Perseveranza. Umiltà e modestia. E anche un pizzico di fortuna: trovarsi nel posto giusto, nel momento giusto.
Grazie Stefania!Grazie a te, spero di non averti annoiato..
Assolutamente no..anzi!